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I quattro vini di Borrega: l’incarnazione dell’anima della Puglia
Forte il lagame con la tradizione negli 11 ettari vitati coltivati biologicamente. Quattro le etichette: il Negramaro Maricò, il Fiano Luna Decima, il Primitivo Pinamonti e il Rosato Jocelyne


abio Borrega si era avvicinato in punta di piedi al mondo del vino circa 15 anni fa
, per restituire alla vita una masseria seicentesca di Francavilla Fontana (Brindisi) circondata da vigneti e oliveti, acquistata con il fratello. Uomo di finanza e totalmente estraneo al settore, ascoltando e studiando ha visto crescere in sé la sensazione si sentirsi vignaiolo e agricoltore. E lo è diventato, guidato, se non dall’esperienza, da una passione crescente che ha dato inizio a una seconda vita. «Il vino – dice – è cultura, una cultura millenaria, che voglio rispettare. I greci lo consideravano ciò che consentiva di distinguere i popoli civilizzati da quelli barbari». Che far vino non è come ottenere un prodotto qualsiasi gli era chiaro fin dall’inizio dell’avventura perché né investimenti né tecnologie garantiscono da soli che il frutto della vite nella trasformazione possa mantenere la propria identità.

La masseria seicentesca di Francavilla Fontana I quattro vini di Borrega L’incarnazione della PugliaLa masseria seicentesca di Francavilla Fontana

L’incontro con l’enologo Michele Schifone

Ma talvolta, perché un sogno non rimanga tale, avviene un incontro casuale al momento giusto: quello con un enologo pugliese di lungo corso, Michele Schifone. Insieme hanno deciso di lavorare sui vitigni che meglio esprimono la migliore tradizione enologica locale: Negramaro, Primitivo di Manduria e Fiano (la versione salentina, non il più noto campano). Avevano trovato nella proprietà vigneti di 60 anni ad alberello, come usava una volta, ma anche vitigni “estranei” come Merlot, Cabernet e persino Lambrusco perché decenni fa il mercato – responsabile di molti espianti di varietà autoctone – si rivolgeva agli internazionali per vini più freschi, meno alcolici e strutturati.

Il ritorno alla tradizione

Qui, in masseria Cistonaro, fu subito scelto di tornare alla tradizione e dagli 11 ettari vitati coltivati biologicamente sono nate quattro etichette in cui la diversità, anno per anno, diventa un valore aggiunto. Se un’annata non è mai uguale all’altra, i profumi, i sapori, i colori, e soprattutto il forte richiamo al binomio vitigno-territorio, sono segni di identità e di orgoglio. La passione del neo vignaiolo aveva contagiato l’intera famiglia ma prima di tutti sua moglie a cui è stata dedicata la prima etichetta: il Negramaro “Maricò”. Ma poi tutti, a vario titolo, sono finiti tra i filari e in cantina, impegnati con l’agronomo Pasquale Leo alla sfida di far nascer un’uva sana, pur mettendo in conto che un capriccio del meteo può annullare un anno di lavoro.

Vini di “famiglia”

Ma sono stati tanti i buoni risultati e le vendemmie da ricordare e in cantina si è ripetuta la magia del risultato voluto. Anche sulle altre tre etichette Borrega c’è la firma dei familiari: il Fiano “Luna Decima” è dedicato alla figlia, il Primitivo “Pinamonti” al padre e al nipote del titolare e il Rosato “Jocelyne” alla cognata belga.

«Per me il vino – sottolinea Fabio Borrega – è la metafora della vita, con le sue vittorie e le sue sconfitte, ma bisogna essere sempre fiduciosi nel guardare al futuro. Il nostro orgoglio è cercare di non essere omologati, rischiare nella consapevolezza di avere un’identità che non può venire meno».

Vini in purezza

Tutti e quattro le etichette sono vinificate in purezza.Il Negramaro Maricò è un rosso rubino dai riflessi granati: al naso sa di viola e al palato di amarena e cioccolato fondente e il tannino giovane ma levigato conduce a un finale speziato. Anche il Primitivo Doc “Pinamonti”, rubino con sfumature granate, esprime una trama olfattiva intensa ricca di frutta rossa, con un finale di liquirizia e pepe nero. Fresco e persistente, ha tannini delicati. C’è poi il Fiano salentino Igp “Luna Decima”, giallo paglierino con sfumature dorate che presenta note floreali, agrumate e di erbe aromatiche. Non poteva mancare un rosato, secondo la tradizione di Puglia, ed ecco quello di Negroamaro “Jocelyne”, dal tenue rosa cipolla dai riflessi ramati e una nota fumé che vira in note di buccia d’arancia e mandarino. È una produzione piccola ma molto apprezzata in ambito regionale, soprattutto nel campo della ristorazione. Sono vini vocati all’abbinamento con i piatti locali, in un contesto in cui la qualità dell’enogastronomia è tra le più alte e si snoda in esemplare equilibrio tra i prodotti del mare e della campagna. Per piccoli numeri anche se di grande qualità – se fanno 12mila bottiglie l’anno e l’export è limitato per ora al Belgio – non è facile imporsi in un mercato tanto affollato come quello del vino e quindi resta la vendita diretta, tra le più penalizzate nell’ultimo anno di pandemia.

Si lavora sui vitigni che meglio esprimono la migliore tradizione enologica locale: Negramaro, Primitivo di Manduria e Fiano I quattro vini di Borrega L’incarnazione della PugliaSi lavora sui vitigni che meglio esprimono la migliore tradizione enologica locale: Negramaro, Primitivo di Manduria e Fiano

Nel futuro anche l’olio

Consolidare la propria immagine e il proprio brand è ormai essenziale anche per un piccolo produttore come Borrega, ancora estraneo ai meccanismi della distribuzione. Ma ci sta lavorando e, accanto al lavoro di vignaiolo – perché la terra non prevede che i propri ritmi- ha sottoposto a restyling tutta la sua attività, dalla grafica alla distribuzione passando per la comunicazione.

Si è anche occupato delle sue 5.500 piante d’olivo di varietà Ogliarola, Coratina, Leccino, Pesciolen e Cellina di Nardò. Più di 900 sono secolari ed alcune sono state colpite della Xilella che attacca soprattutto questi monumenti del tempo. Ma niente abbattimenti o veleni in queste terre bio in cui entrano solo zolfo e rame e in cu i trattamenti sono minimi.
«È una sensazione terribile – dice- sentirsi impotenti di fronte a questo flagello, ma ora per salvare gli alberi stiamo sperimentando una cura che sembra dare qualche risultato: semplici irrigazioni di aceto».

È un amore, quello per l’olivicoltura, ancora mal ripagato dal mercato, soprattutto in Puglia che resta ancora, nonostante tutto, il serbatoio d’Italia. All’inizio si era impegnato ad imbottigliare la sua linea con raccolta manuale e spremitura a freddo, premiata da parte Slow Food come “Extravergine di eccellenza”, ma poi dovette rinunciare per la mancata copertura dei costi, limitandosi a vendere le olive.

Fabio Borrega I quattro vini di Borrega L’incarnazione della PugliaFabio Borrega

Nei progetti non c’è l’accoglienza

La bellissima masseria Cistonaro – detta così per l’abbondante fioritura in primavera della Cisto di Montpellier, una rosa selvatica mediterranea- è il suo buen retiro e non ha alcuna intenzione di adibirla ad agriturismo. «Non saprei fare l’albergatore – dice – qui lo fanno in tanti ma poi, di agri, c’è ben poco». La possibilità ci sarebbe, con gli edifici rurali ristrutturati, tra cui un’ex scuola che era destinata nel primo ‘900 ai figli dei contadini. Ma non cambierà idea: il suo progetto resta il vino, il suo vino che racconta la terra brindisina.

Fonte: Italia a Tavola